
La Basilica minore di Santo Stefano, anche nota come “Sette chiese”, è uno dei più intricati e affascinanti complessi dell’architettura sacra del Medioevo europeo intorno al quale si intrecciano storia, devozione, leggenda e alternanze di stile romanico, longobardo, barocco e substrato pagano.
Non è semplice orientarsi fra le varie fonti storiche, sul suo primo fondatore, che la tradizione indica in san Petronio, vescovo di Bologna dal 431 al 450 e in seguito patrono della città, e neppure sui doppi nomi attribuiti alle quattro chiese rimaste dopo demolizioni e rifacimenti per quasi due millenni.
Nessun edificio corrisponde più alle strutture originarie, ciascuno fu rimodellato o ricostruito per diverse ragioni: non mancarono una devastazione degli Ungari nell’899, né una sconsacrazione da parte di Bonifacio VIII e molto dipese dal variare nel tempo di esigenze logistiche e nuovi gusti estetici. La storia del complesso stefaniano è quindi un’opera di grande pregio storico, artistico e religioso e, al contempo, un po’ labirintica come il percorso da seguire per visitarla, ma è proprio questo a renderla tanto originale e affascinante.
La “Sancta Jerusalem Bononiensis”
Così citano i documenti antichi. Questo, infatti, pare sia stato l’intento di Petronio e, in seguito, dei benedettini che qui vissero per oltre sei secoli: offrire cioè ai fedeli un’area che contenesse la copia del Santo Sepolcro di Gerusalemme e consentisse loro di rivivere il Mistero di Cristo (passione, morte e resurrezione) ripercorrendone le tappe, ma senza affrontare le fatiche e i pericoli di un lungo viaggio fino alla Terrasanta.
L’insieme chiesastico crebbe intorno ai resti di un antico tempio pagano dedicato al culto egizio della dea Iside. Un culto molto sentito anche dai bolognesi finché, nel IV secolo, il Cristianesimo non divenne la religione ufficiale dell’impero, riuscendo ad avvicinare i fedeli al nuovo Credo nel modo meno traumatico possibile. Pertanto, se i templi di Iside vennero dedicati alla Madonna, il complesso delle Sette Chiese fu intitolato al primo martire cristiano, Santo Stefano, il cui nome (“corona” in greco) rievocava in qualche modo anche la Iside vittoriosa.
L’evoluzione della basilica dall’80 al 1900 d.C.
L’iscrizione in marmo (I sec. ca.), ritrovata nella piazza nel 1299 e murata sul fianco destro della Chiesa del Crocifisso, testimonia la presenza dell’antico tempio di cui restano tuttora sette colonne marmoree nella Chiesa del Santo Sepolcro e la fonte di acqua purificatrice, rappresentante prima il Nilo poi il Giordano, che la nuova liturgia, del tutto simile a quella pagana, convertì in fonte battesimale.
Iniziamo il tour aiutandoci con qualche cenno storico:
1-2. Chiesa del Crocifisso (o di S. Giovanni Battista)
Di origine longobarda (VII sec.), è la più protesa verso il sagrato. Caratterizza la facciata un pulpito a balconcino, senza più accesso, un tempo utilizzato per le benedizioni e per l’esposizione delle reliquie.
Dal portone, sovrastato da una mano benedicente, si accede all’intero complesso.
L’interno, a una sola navata, si articola su due livelli. Sul presbiterio fortemente rialzato spicca, su uno sfondo barocco, il grande Crocifisso da cui prende il nome la chiesa, opera lignea dipinta da Simone dei Crocifissi (1380 ca.). Nella navata, sul lato sinistro rispetto all’ingresso, si trova un’intenso Compianto sul Cristo morto, opera policroma in cartapesta del bolognese Angelo Gabriello Piò (1690-1770).
3. Cripta
Si trova sotto il presbiterio. Costruita nel 1019 come sepolcreto dei protomartiri Vitale e Agricola, ne custodisce alcuni resti, più volte traslati, in un’urna dorata sopra l’altare. L’impianto romanico a cinque navate presenta 12 colonne (come i 12 Apostoli presenti all’Ultima Cena) diverse fra loro in altezza, tipo di marmo e capitelli.
La seconda colonna da destra, secondo una leggenda, indica l’altezza di Cristo (1,70 m. ca.) misurata dalla base al capitello escluso.
Due affreschi alle pareti raffigurano il martirio dei due santi (1500).
Uscendo dalla Cripta, una porta a destra, nella navata, conduce al luogo più suggestivo dell’intero complesso:
4. Chiesa del Santo Sepolcro (V sec.)
É il nucleo pensato per riprodurre fedelmente il Santo Sepolcro di Cristo così come lo aveva visto Petronio nei suoi viaggi a Gerusalemme.
Qui, nell’edicola sotto il grande pulpito che domina il centro della sala, da cui si eleva la croce simbolo di resurrezione, riposarono per secoli le ossa del Patrono della città fino a quando, nel 2000, furono traslate nella Basilica di San Petronio, a lui dedicata in Piazza Maggiore, che ne custodiva il capo dal 1743 per volere di papa Benedetto IV, già noto e rispettato dai bolognesi come Cardinale Lambertini.

L’ambiente fu a lungo testimone di riti e pellegrinaggi non solo in segno di adorazione del Cristo, assente ma evocato dal Sepolcro, e del Santo Patrono, ma anche per la sua funzione di battistero e per la cura delle malattie grazie all’acqua ritenuta miracolosa. Denso di simbologie religiose, induce a un percorso circolare meditativo, tipico delle religioni orientali in cui mente e corpo agiscono assieme in un flusso continuo, e consente di poterlo apprezzare da ogni prospettiva lo si osservi, artistica o spirituale.
Sette delle dodici colonne in cipollino nero, provenienti dal tempio di Iside, furono riutilizzate e rafforzate da altre in mattoni che trasformarono, così, l’iniziale forma circolare in ottagonale. Il tamburo della cupola è invece a dodici lati (ancora un 12!).
Una colonna, isolata dalle altre, simboleggia quella dove Cristo fu flagellato. Come informa un cartiglio, garantiva ai visitatori 200 anni di indulgenze.
Una grata nel pavimento protegge l’antica sorgente di acque benedette, attinte dal fiume Àposa, che richiamavano folle di pellegrini in cerca di guarigioni miracolose.
Il Santo Sepolcro ha quattro accessi. Dalla porta in linea con quella di entrata si varca la soglia della…
5. Chiesa dei Santi Vitale e Agricola (IV sec.)
Terza delle tre chiese che si affacciano sul sagrato, è la più antica del complesso stefaniano. É dedicata ai protomartiri Vitale e Agricola, rispettivamente servitore e padrone, dopo il ritrovamento dei loro resti in un cimitero ebraico nelle immediate vicinanze. Si suppone che entrambi fossero di origine giudaica. Se Agricola fosse stato un cittadino romano avrebbe infatti subito la pena della decapitazione e non la crocifissione. I due santi subirono lo stesso martirio durante la persecuzione di Diocleziano (circa 305 d.C.) e rappresentano un messaggio di uguaglianza sociale e di solidarietà.
Per un certo periodo Ambrogio ne portò i resti a Milano, contribuendo a diffonderne il culto. Alcune reliquie furono trasferite in altri luoghi sacri d’Italia e persino in Francia, a Clermont. Spoglia e cupa, ma ugualmente bella nella sua austerità, conserva ai lati dell’abside i sarcofagi attribuiti ai due santi, resti di pavimento musivo romano, un’ara pagana rovesciata nell’abside, una croce pentacolare sopra l’entrata e un’antica croce di legno evocante il martirio di Agricola.
6. Cortile di Pilato
Vi si accede dalla Chiesa del Santo Sepolcro ed è un’elegante rappresentazione simbolica del luogo in cui fu condannato Gesù. Delimitato da due porticati in stile romanico, vi possiamo osservare gli splendidi cromatismi geometrici che decorano l’esterno del Santo Sepolcro, tipici dell’iconoclastia bizantina, e i momenti più incisivi della Passione di Cristo come il Gallo di S. Pietro (XIV sec.), che ricorda quando l’apostolo rinnegò il Maestro prima del suo canto, piante di ulivo e l’imponente catino di marmo, di produzione longobarda (740 ca.), in cui Pilato si lavò le mani abbandonando la sorte di Gesù in quelle dei suoi accusatori.
Sotto i due porticati troviamo piccole cappelle e diverse lapidi, tra le quali spicca quella di un sarto contrassegnata dalle sue forbici professionali, una corona di alloro simbolo di Santo Stefano, i volti affrescati di Maria, Gesù e San Giovanni e altro ancora.
7. Chiesa della Trinità (o del Martyrium)
Qui vennero collocate inizialmente le spoglie dei Santi Vitale e Agricola (da cui il primo nome Martyrium). Alterata da restauri e rifacimenti, l’ultimo risale al 1912, si estende in orizzontale come un lato chiuso di porticato. All’interno, resti di affreschi trecenteschi fra i quali una Madonna incinta di delicata fattura e il più antico gruppo ligneo raffigurante l’Adorazione dei Magi (1250), dipinto successivamente da Simone dei Crocifissi nel 1350. Di notevoli dimensioni e pregio artistico, mantiene ancora i colori originali, oggi ulteriormente protetti da una teca di vetro.
8. Chiostro (e Lapidarium)
Il monastero benedettino, aggiuntosi nel tempo, vanta questo magnifico luogo di raccoglimento a doppio ordine di logge, realizzato in due distinte riprese, in cui si armonizzano l’arte grave e solenne dell’XI secolo a quella più aerea del XII e XIII secolo, felicemente espressa da colonne binate con capitelli a figure zoomorfe e antropomorfe tutte differenti fra loro.
Al centro del chiostro un pozzo in arenaria del Seicento.
Si narra che Dante, a Bologna nel 1287 per frequentare l’Università, si recasse di frequente al chiostro affascinato dall’atmosfera che lo pervadeva e che, impressionato dai curiosi capitelli, ne avrebbe tratto ispirazione per alcuni supplizi descritti nella Divina Commedia.
Mira c’ha fatto petto delle spalle: / perché volle veder troppo davante, /
di retro guarda e fa retroso calle. (Inferno, XX, 37).
Come per sostentar solaio o tetto, / per mensola tal volta una figura, /
si vede giugner le ginocchia al petto. (Purgatorio, X, 130).
Le pareti delle due gallerie ospitano le lapidi che onorano i nomi dei bolognesi caduti nelle due guerre mondiali.
9-10-11-12. Cappella della Benda e Museo
Una striscia della tela, che si narra sia stata usata dalla Madonna durante il supplizio del Figlio, dà il nome alla Cappella della Benda dove è conservata. Adibita a museo assieme alla Sala Capitolare, espone parti pittoriche di polittici, le storie della vita di San Petronio, il reliquiario della sua testa, opere di oreficeria, di scultura e parte del ciclo decorativo rimosso dalla cupola del Santo Sepolcro.
Qualche nota aggiuntiva
- Una chiesa dedicata a Santa Tecla, leggermente arretrata rispetto al complesso (si affacciava sulla biforcazione fra via Santo Stefano e Via Farini), fu demolita nel 1798.
- La vicina chiesa di San Giovanni in Monte, anticamente Monte Oliveto, unico luogo sacro in salita sopra un modesto dislivello stradale che parte proprio dalla confluenza fra via Santo Stefano e via Farini, doveva rappresentare il Monte Calvario mentre un uliveto doveva ricordare quello in cui Gesù sudò sangue prima di essere catturato.
Dopo secoli di alternanza fra benedettini e olivetani, la reggenza della Basilica di Santo Stefano è passata all’ordine dei francescani nella primavera del 2020 (fonte: Il Resto del Carlino, 28 dicembre 2019).
Stefania Ferrini
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